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La Bce taglia i tassi, ma il mutuo non scende davvero: perché le banche frenano il calo del costo del credito

18-06-2025 06:00

Desirée Miranda

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La Bce taglia i tassi, ma il mutuo non scende davvero: perché le banche frenano il calo del costo del credito

Otto tagli consecutivi non bastano: le banche tengono alto il costo del credito, elevati i margini e bloccano l’accesso ai prestiti

È più di un anno che la Banca centrale europea ha avviato una progressiva riduzione del costo del denaro. Sono otto i tagli consecutivi, l’ultimo proprio nei primi giorni di giugno. Eppure chi ha un mutuo o vuole accenderne uno non vede una grande differenza.

Certo, ci sono anche le differenze economiche territoriali ma nelle tasche degli italiani i mutui continuano a pesare parecchio.

 

Non è solo una sgradevole sensazione: quella per cui quando c’è da pagare i prezzi salgono in fretta, ma quando c’è da trarne beneficio tutto sembra rallentato.

A dirlo sono i numeri: secondo il centro Analisi e ricerche di Fabi, il tasso fissato dalla Bce è sceso dal 4,5% di settembre 2023 all’attuale 2%. Nello stesso periodo, però, il tasso effettivo applicato dalle banche sui mutui è calato meno della metà.

 

La differenza tra i due dati è netta. In 21 mesi, il taglio deciso da Francoforte è stato di 250 punti base, il tasso medio sui mutui casa alle famiglie è sceso solo di 118 punti base: dal 4,72% di ottobre 2023 al 3,54% di marzo 2025, ultimo dato disponibile.

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È la prudenza a spingere le banche a trattenere parte del risparmio che la teoria vorrebbe spettasse alle famiglie. L’inflazione, causa principale dell’impennata dei prezzi nel periodo post Covid, non morde più come prima, ma i venti di guerra internazionale si fanno sempre più forti e così anche l’economia rallenta.

 

Insomma, come dicono da Fabi: “Non basta che la Bce allenti le condizioni monetarie: occorre che il settore bancario recepisca e trasmetta questi impulsi con prontezza, agendo sulla riduzione dei tassi praticati e sull’allargamento dei criteri di accesso ai finanziamenti”.

 

E se decidono le banche, hanno deciso di tenersi i soldi. Le parole degli esperti di Fabi sono chiare: “I margini bancari restano elevati, ma le famiglie continuano a incontrare difficoltà nell’ottenere liquidità, per i costi alti, specie nei territori più fragili e tra le fasce più esposte della popolazione”.

 

Accanto va considerato che il mercato dei tassi fissi, che nei mesi scorsi aveva seguito la discesa, ha mostrato segni di risalita nei primi mesi del 2025. Un effetto che rischia di vanificare anche l’ultimo intervento della Bce.

 

Se guardiamo ai numeri, prevale un segno positivo. Da maggio 2024 a marzo 2025 i mutui erogati alle famiglie sono aumentati dell’1,9%, pari a 7,8 miliardi di euro, ma l’occasione sembra mancata. Per gli esperti Fabi si poteva fare di più e occorre cambiare rotta al più presto.
 

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“Serve una nuova visione politica, attenta alla crescita e alla coesione sociale, una strategia complessiva, capace di mobilitare la finanza pubblica a supporto del credito privato, magari potenziando gli strumenti di garanzia pubblica e sostenendo i giovani, i lavoratori precari, le piccole imprese. Occorre ridare centralità al credito come volano dello sviluppo, non solo come meccanismo tecnico-finanziario, ma come strumento di giustizia economica, inclusione e futuro. Un credito accessibile significa più consumi, più investimenti, più fiducia”. Si legge sul documento  di Fabi.

 

La mappa del credito immobiliare evidenzia la centralità delle province più grandi. Le prime 25 città italiane raccolgono, da sole, oltre 240 miliardi di euro di mutui, pari a circa i due terzi del totale nazionale.

 

Roma e Milano si attestano saldamente al vertice della graduatoria. Insieme, le due città generano quasi il 23% del mercato dei mutui italiani. 
Nel Mezzogiorno, oltre a Napoli, si distinguono Bari (7,8 miliardi), Palermo (5,1 miliardi), Catania (4,5 miliardi) e Salerno (3,8 miliardi).

 

Guardando il dettaglio siciliano, nell’Isola si registra un +1,2% nel biennio 2022-2024 con Catania che da sola contribuisce per l’80%. La città etnea registra un aumento di oltre 156 milioni (+3,6%), seguita da Trapani (+1,6%), Palermo (+1%) e Siracusa (+0,6%). Le altre province mostrano invece variazioni negative: Messina perde l’1,4%, Agrigento e Caltanissetta l’1%, Enna il 2,3%, mentre Ragusa resta stabile.

 

Anche in Sicilia, si fotografa un mercato a due velocità, con segnali positivi nei principali poli urbani e maggiore debolezza nelle aree interne e periferiche.Lorem Ipsum è un testo segnaposto utilizzato nel settore della tipografia e della stampa.

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